martedì 28 dicembre 2010

Pensieri del 26 Novembre

E' già passato un anno dal mio ultimo inverno e nemmeno un mese dalla mia estate. Eppure ricordo meglio e mi sono più famigliari il freddo, le foglie marroni e secche per terra, il cielo carico di pioggia piuttosto che il caldo, le palme e le spiagge del Brasile.
Mi sembra che la maggior parte dei miei ricordi siano intrisi di questa immagine invernale.
L'ultima, la più recente, del Brasile, mi sembra già un sogno lontanissimo e irraggiungibile, una parentesi chiusa per sempre.
La mia vita ora è totalmente diversa da allora.
Per me quel sogno ancora continua come l'eco di un richiamo in alta montagna.
la mattina mi sveglio ancora assonnata e ancora ho negli occhi il sogno appena fatto e lasciato incompiuto.
Vorrei perpetuarlo e riviverlo con tutti i particolari, e pensandoci e raccontandolo mi saltano improvvisamente alla mente episodi che quasi avevo dimenticato.
Tutto si arricchisce, si fa chiarezza, si ha una visione d'insieme dopo avere elaborato l'esperienza.
Questo processo continua, lentamente e inesorabilmente, silenzioso.
Allo stesso tempo si crea una distanza che è la constatazione dell'allontanarsi da me di quel sogno.
E' impossibile tornare indietro, impossibile resuscitare i morti. Panta rei.
Forse si può rivivere con le stesse persone gli stessi luoghi, ma è tutto nuovo, con un'altra forma, un'altra dimensione.
Questa è l'unicità della vita.
Le cose belle non durano per sempre...c'è una fine, un tempo di durata.
Anche nel male c'è la possibilità di riscattarsi e darsi nuove opportunità, vivendo esperienze nuove. Si cresce sempre.
Adesso mi sento come se stessi salutando un vecchio amore finito.
Difficile staccarsi dalla routine, dalle abitudini, dalle sicurezze e dalle illusioni.
L'uomo però deve cercare di essere libero e c'è tanta soddisfazione nell'uscire dalla gabbia che egli stesso crea per sè.
Evadere, rischiare tutto, ricominciando daccapo un'altra volta perchè la posta in gioco non è solo la sopravvivenza, ma la felicità stessa.
Sfidarsi e superarsi quando si pensava che finalmente si fosse arrivati e si fosse vinta la partita, è un meccanismo che occorre perpetuare.
L'equilibrio è instabile, si sposta in avanti un pochino ogni giorno.
ha senso rincorrere tutta la vita una chimera? Ha senso annusare il profumo inebriante di una frutta e poi non poterla addentare e gustarmi la dolcezza?
Ogni volta che mi avvicino alla felicità mi sembra di allontanarmi improvvisamente, di essere scaraventata nelle oscure segrete sotterranee del mio Io.
C'è tanta speranza, tanta gioia e in fondo in fondo, tanta disperazione. Mondo crudele!
In questo limbo è difficile trovare un'uscita, un'uscita alternativa.
Dovrò passare attraverso il lungo processo di purificazione prima di ascendere all'Olimpo.

mercoledì 27 ottobre 2010

Manca poco!

Manca una settimana alla partenza.
Io mi sento una squilibrata, bipolare. Non controllo le emozioni e piango di continuo senza motivo, pensando ad alcune cose di questa esperienza.
Il medico è diventato quasi il mio migliore amico. Ho trascorso l’ultimo mese ricoperta di pustole nel corpo che mi passavano da una parte all’altra, e quando mi sono venute in viso mi sono sentita disperata.
Adesso ho iniziato l’antibiotico, sto facendo delle iniezioni in sala chirurgica con l’infermiera.
Ma ancora giro con i cerotti sulla faccia!!
Il medico mi ha diagnosticato depressione, e questa infezione dovuta a un calo delle difese immunitarie. Quindi è da 2 mesi che sono depressa.
La notte non dormivo bene.. c’è stato un periodo a settembre che mi svegliavo nel pieno della notte in panico sognando il letto pieno di insetti e ragni, o di avere i vermi nelle mutande. Accendevo la luce e iniziavo a cercarli.
Ma penso che questo sia dovuto al fatto che qua siamo invasi dagli insetti. Io non sopporto piu.
Nell’ultima settimana mi sono trovata nella doccia, una volta a parnaiba e l’altra a Jeri, 2 tarantole giganti! I vermi cadono dal tetto sulla tavola e le formiche invadono e mangiano tutto.

Tornerò in italia e non so che farò della mia vita.

lunedì 13 settembre 2010

Belem la meta del cuore.

Belem, conosciuta come la porta dell’amazzonia, è molto di più che un posto carino da visitare.
Il mio viaggio è stato un viaggio della speranza, una ribellione dai pensieri negativi che mi stavano imbruttendo per cercare la felicità e l’armonia perduta.
Ho trovato tutto questo e molto di più.
Non finirò mai di stupirmi di fronte a questo incredibile popolo brasiliano, dal cuore grande e aperto a tutti.
Non voglio parlare degli itinerari turistici da visitare, per quello qualsiasi guida è utile.
La mia commozione è dovuta a tutte le persone che fin dal primo giorno ho incontrato e conosciuto per strada.
Viaggiare da soli regala tante emozioni: il piacere della scoperta e della conquista, il riscoprirsi curiosi e pieni di energia.
Forse per una ragazza ci sono molti rischi, ma anche tanti privilegi.
Tutti vogliono aiutarmi, consigliarmi, mettermi in guardia, proteggermi.
Fin dal primo incontro ci si gioca tutto, ci si apre e ci si vuole bene incondizionatamente.
Si finisce a passare ore insieme, e poi condividere avventure.
Ci si incontra per caso e si resta insieme per volontà e per amore.
Ogni giorno ho fatto nuove conoscenze, e ognuna di queste mi ha regalato qualcosa, tra cui rispetto, altruismo, generosità e amore per il prossimo e per la vita.
È tutto così facile qua, nonostante i problemi, la povertà poiché la vita è sempre bella.
La vera ricchezza è la felicità interiore, di spirito.
Qualsiasi cosa possa accadere è questa fede che dà forza per andare avanti a testa alta.
C’è tanta solidarietà, tanta fratellanza anche verso una sconosciuta straniera con la pelle chiara, che spesso suscita molti pregiudizi.
Ci si racconta tutta la vita, le sofferenze e gli ostacoli, e poi le soddisfazioni e i successi, e ci si avvicina tanto da poter sentire i battiti del cuore.
Si dà veramente quando si offre se stessi.
Il culmine sorprendente di questa mia vacanza è stata Marajò, l’isola a 4 ore di barca da Belem nel delta del fiume.
La mia voglia iniziale di lasciare la città, gli amici, le feste, per isolarmi un’altra volta, era davvero bassa.
Sulla nave che parte alle 6:30 del mattino ho conosciuto un ragazzo timido, David.
Si è offerto di darmi un passaggio fino alla spiaggia, dato che lui abita vicino con la sua famiglia.
È venuto a prenderlo al porto suo zio in moto.
All’inizio mi sono sorpresa perché pensavo non ci fosse posto per tre in moto. Mi sbagliavo.
Arrivati a casa sua, conosco sua mamma di 70 anni, che abita senza marito ma con l’altro figlio maggiore.
Vicino a casa sua abitano sua sorella e l’altra figlia con la sua famiglia.
Circondati da alte palme di açaì, alberi da frutto, completamente dentro la foresta selvaggia e la natura.
Mi offre il pranzo, un letto per riposare, mi invita a dormire lì la notte.
Così alla fine ho passato il mio breve soggiorno in casa loro come sacro ospite.
David mi ha portato prima in moto per le spiagge, poi in bicicletta per sentieri che si aprivano in piscine naturali in mezzo agli alberi, in cui abbiamo fatto il bagno.
Ho conosciuto e assaggiato tutti i gustosi frutti dell’isola.
Nella frescura del tardo pomeriggio tutti i ragazzi si incontrano per giocare una partita di calcio.
Mi sento entrare nel profondo della vita di questa comunità di isolani, e dimentico le spiagge che erano la mia meta iniziale.
Il giorno dopo tutti si alzano all’alba. Io cerco di non sentire i rumori della cucina ma alle 8 mi alzo pigramente.
Passo quasi tutta la mattina nel cortile della casa della zia di David, anche lei settantenne, chiacchierando e soprattutto ascoltando la sua vita avventurosa.
Mi mostra le sue galline, tra cui una che si è ammalata e non riesce più a mangiare.
Probabilmente gli è entrato un insetto in gola e ora sta sempre con il becco aperto lamentandosi e scrollando il collo e la testa.
Infine accompagnata da David e da una banda di ragazzini arriviamo a un fiume che passa in mezzo agli alberi, tra i tronchi e le radici.
Sembra un mondo incantato, dove gli elementi terra e acqua si mescolano e si confondono.
Le fronde delle palme coprono il cielo come un tetto.
La luce del sole a malapena filtra tra le larghe e fitte foglie.
Entriamo in canoa e proseguiamo nell’acqua che sembra uno specchio spingendo con un bastone sul fondo.
Ci facciamo strada tra rami, liane e tronchi. Tutto è verde e sembra uno spaccato dell’amazzonia.
I ragazzi si tuffano in acqua lanciandosi da un tronco alto.
A pranzo provo la manisoba, piatto tipico del Parà, preparato con foglie di mandioca e interiore di porco, cucinato e cotto per 4 giorni: una delizia!
Ma arriva il momento di ripartire.
Mi regalano 2 ananas dolcissime che lì crescono ovunque.
Sulla nave del ritorno sorrido, nonostante la forte tempesta che ci sbatte e agita il mare.
Non avrei immaginato di poter passare un giorno tanto intenso.
Sono rimasta sorpresa dall’ospitalità di questa famiglia umile e povera, che mi ha accolto in casa come se fossi una figlia pur non conoscendomi.
Mi hanno offerto tutto quello che avevano, senza che io lo meritassi.
Ho pensato a come sarebbe in Italia, dove l’individualismo è considerato la chiave del successo e del vivere, mentre qua il gruppo e la comunità fanno la forza e sono indispensabili per la sopravvivenza del singolo.
Di tutta la mia vacanza ho un solo rimpianto: di non essere stata più tempo.
Potrei parlare ore di Belem, dell’açaì che si degusta come crema di accompagnamento, del mercato popolare Ver O Peso, incontro di mille persone che ridono, gridano, cantano, suonano e mangiano, delle feste notturne e delle serate passate scherzando con gli amici.
Tornare a Parnaiba dopo 20 ore di autobus, mi stringe il cuore come una morsa.
Sempre si deve tornare, ma il mio cuore è rimasto là.

domenica 29 agosto 2010

Solidão de manhà

Speravo che le cose migliorassero con il tempo, invece probabilmente non ho ancora toccato il fondo. Quanto devo precipitare ancora prima di fermarmi e rialzarmi?
Ogni giorno che passa peggioro. Ho solo dei momenti in cui libero la mente e la svuoto della tristezza che mi accompagna tutti i giorni.
La mia disperazione non trova conforto. La solitudine di mattina, quando apro gli occhi e non ho motivo per alzarmi, quando fisso il soffitto quadrato della mia camera in penombra con qualche raggio di sole che filtra dagli scuri della finestra e mi sembra la mia prigione ma anche il mio rifugio. Mi chiudo qua dentro e mi sento disperata, sola, e senza consolazione.
Sbatto la testa da una parte all’altra, mi sento tanto male che non voglio mangiare, non voglio uscire, non voglio incontrare nessuno, non voglio fare niente se non rinchiudermi nella mia depressione.
Il dolore parte dal cuore, e scende come una scossa fino ai piedi che mi sento morire. L’angoscia mi scuote come un terremoto terribile e mi paralizza. Non riesco a liberarmi da questo senso di morte che mi spaventa e mi toglie la voglia di vivere. Mi sento schiava delle mie emozioni.
Mi accompagna solo una musica triste. Ma tutto mi sembra brutto, la città, la mia vita, questo lavoro, le persone e mi sento arrivata alla fine, come se in tutto il mio futuro non avessi nient’altro ma finisse tutto qua.
Non vedo una luce di fronte a me ma solo sofferenza senza conforto. Non mi sembra vita questa.
Non so come uscirne, tutto nella mia testa sembra terribile e gigante. Mi rimbomba come un tuono e non mi lascia pensare.
Vorrei che il tempo passasse rapido, perché indietro non posso tornare. Vorrei l’aiuto di qualcuno. Mi sembra di aver perso me stessa, di aver perso tutto, anche le mie motivazioni e gli stimoli.
Non vedo alba, non vedo tramonto, mi circonda solo questa oscurità che uccide lentamente.

mercoledì 25 agosto 2010

Un lungo viaggio per il Brasile

Ogni viaggio mi regala sempre nuove e indimenticabili emozioni, e mi lascia la voglia di ripartire subito ma soprattutto di ritornare in quei posti lontani e magici.
Ogni viaggio mi toglie anche tanto. Mi toglie l’equilibrio, l’armonia, l’incapacità di tornare indietro e di guardare le cose come prima.
Perché un viaggio finisce e si ritorna alla vita di sempre, ma non si è più noi stessi: la realtà non è cambiata ma noi siamo cambiati.
Dopo questo viaggio di tre settimane, ho perso la forma datami dalle circostanze e dall’ambiente in cui routinariamente vivevo, per espandermi più verso l’infinito e l’eternità dello spirito.
Ho capito quanto l’essere umano sappia incredibilmente adattarsi con il tempo a qualsiasi ambiente e cambiamento, sia in meglio che in peggio. E’ lo spirito di sopravvivenza, ma costa fatica, è stressante e non facile.
Per questo molti non lasciano mai il proprio nido costruito, la propria ancora di salvezza.
In questi venti giorni ho conosciuto un’altra faccia del Brasile, le altre mille facce dell’ eterogeneo Brasile. E’ stato come levarsi delle bende che fasciavano da tempo gli occhi, e cominciare a vedere. Ho sentito rinascere, prima timidamente ma poi vigorosa e invadente come un rampicante, quella vivacità e curiosità per il nuovo, quella voglia di novità che fa sentire più vivi.
È stato come prendere improvvisamente al bivio un’altra strada.
Montagne, mari, musica, amici, persone, spiagge, birra... e io, che non sono più io dimentico il mio passato.
Rio de Janeiro è magica, è fascinosa come una donna seducente e prosperosa. Ammalia e innamora.
Il mare di Ipanema è verde turchese, la notte a Lapa cattura con la samba e l’allegria dei cariocas, le montagne maestose sembrano guardiane della città, con le innumerevoli favelas silenti e dimenticate che si accendono di notte.
Salvador è l’anima più nera e ancestrale del Brasile. È terra, è ritmo di tamburi, è odore acre e forte che riempie le narici, è colore, è schiettezza.
Noronha è un sogno a occhi aperti, a partire dal volo su un aereo a eliche che sfiora e trapassa le sofficini nuvole bianche, sorvolando l’oceano.
L’isola si materializza improvvisamente dopo un’ora di volo.
Sembra un lembo di terra dimenticato da Dio e dagli uomini, una sporgenza montuosa spuntata dagli abissi dell’oceano.
Le spiagge sembrano candide fanciulle, vergini e pure. Il mare le accarezza con le sue acque più azzurre e trasparenti, e mostra i suoi tesori nascosti e le sue creature dai mille colori fosforescenti, intrepide e noncuranti dei bagnanti.
Poi si torna. Parnaiba sembra ancora più vuota e deserta di domenica. Le strade non sembrano strade senza auto in circolo, le case non sembrano abitate, il cielo azzurro e afoso sembra opprimente e di carta disegnata.
Mi manca l’aria, mi manca l’orizzonte, mi mancano le risate notturne dei ragazzi ubriachi per strada.
Niente sembra cambiato da quando me ne sono andata. Il mondo non è cambiato anzi sembra essersi fermato. Invece io…
Sono insofferente, senza stimoli, più sola che mai con la mia esperienza anche in mezzo ad altra gente.
Dove sono non so più, cosa sto facendo, e con chi e perché. Un’amnesia?
Le mie pupille si devono riabituare all’oscurità, dopo la luce, per vederci meglio.
E capisco che non ho niente in comune ai brasiliani nordestini, o che non ho ancora imparato niente, perché loro sono tranquillii, molto pazienti e sanno aspettare senza fretta.
Io invece scalpito insofferente nell’attesa estenuante. Nell’attesa di riambientarmi e ritornare forzatamente nella mia vecchia forma.

sabato 3 luglio 2010

La salute pubblica brasiliana

Mi riallaccio all'ultimo post: il brasile è fuori e il clima è da funerale.
Tutte le decorazioni saranno tolte in pochi giorni e addio entusiasmo.
Quindi, sia football che salute ci hanno delusi.

Vorrei parlare della mia esperienza con il servizio di salute pubblica del Brasile.
Purtroppo non ho da dire niente di buono, e purtroppo ho avuto problemi di salute che mi hanno portato ad averci a che fare.
Per una visita con il medico non ci si può prenotare giorni prima o per telefono. Il giorno stesso che il medico visita, essendoci posti limitati, occorre arrivare 2 ore prima, se si è fortunati a trovare ancora posto, e aspettare il suo arrivo.
Ovviamente non si marca l’ora, per cui non ci si può nemmeno allontanare, ma tutte le persone arrivano alla stessa ora e aspettano il turno.
Tutta questa fila è solo per entrare 2 minuti e sedersi davanti al medico senza essere nemmeno visitati, sia un ginecologo sia un medico clinico.
Per cui ci si ritrova ad assumere farmaci prescritti sulla base dei sintomi, senza risultati di esami.
Come mi è capitato, io ho preso un antibiotico che il medico mi aveva prescritto, che non era adatto e addirittura ha peggiorato la mia situazione tanto da dover ricorrere al pronto soccorso.
Quando sono ritornata raccontandogli dell’accaduto, prima è caduto in una fase sconsolata, poi ha chiesto a me che volevo fare: DOTTORE!! CHIAMI UN DOTTOREEEEE! Avrei voluto dirgli.
Alla fine mi ha prescritto un busco pan, un digestivo (avrei voluto un amaro lucano) esami della glicemia, del sangue, delle feci e per ultimo delle urine, che era il mio vero problema.
Intanto la procedura è sempre la stessa: assumere a caso un antibiotico e andare per tentativi aspettando gli esami.
Questo succede se si riesce a beccare il medico. Nella maggior parte dei casi danno buca nonostante si sia in possesso dell’impegnativa con data e ora procurata con tanta fatica.
Eh sì! Ho dovuto svegliarmi almeno due volte alle 4:30 del mattino perché per prendere appuntamento (solo per l’appuntamento) ci sono due o tre posti al giorno.
Comunque i medici arrivano sempre con un ritardo di almeno un’ora o un’ora e mezzo, e spesso non si presentano. Nemmeno avvisano i pazienti che stanno aspettando da ore, nessuno sa niente se verranno o no. Si aspetta fino a che ci si rende conto che è davvero tardi, e si ritorna con un altro appuntamento per il giorno dopo, e poi il giorno dopo ancora ecc…e spesso con un orario sbagliato.
Per non parlare dei tempi di attesa degli esami. Fai tempo a morire o auto-medicarti. Anche i risultati tardano due settimane ad arrivare se non è per via privata.
Tirare la conclusione è facile: la gente povera che non può permettersi un medico privato, deve soffrire. Subisce umiliazione e mancanza di rispetto da parte di professionisti che rappresentano la salute pubblica. Quindi al povero spetta inevitabilmente la condizione di sofferenza e non ha altra scelta. Non gli verrà ridato il tempo che ha perso aspettando e viene lasciato nella completa ignoranza sulla durata della sua attesa.
Il fatto che probabilmente non lavora può considerarsi un deterrente.
Quello che fa rabbia è che dal medico si va perché davvero si ha bisogno e si sta male. Con questo ricevimento ci si avvilisce e ci si rassegna a convivere con la propria malattia, diventando malati cronici.
Un dottore che mi liquidò in un minuto dopo ore di attesa, senza visitarmi e senza alzarsi dalla sedia, mi disse che qua non siamo in Italia e che è diverso il sistema.
La medicina o scienza medica che si studia all’università è sì uguale in tutto il mondo.
La salute e le cure mediche sono un diritto universale!!

mercoledì 30 giugno 2010

I MONDIALI IN BRASILE

Ho la fortuna di poter assistere ai mondiali in questo paese, dove si respira un clima completamente differente dall'italia.
già un mese prima ho assistito ai preparativi meticolosi, cioè tutti in tutti i negozi, bar, uffici, case...sono stati appese bandierine e palloni verdi e gialli.
Perfino negli ambulatori, o nel negozio che vende bare per morti!
non esiste un locale che sia potuto sfuggire. tutte le auto che circolano hanno bandierine appese ai vetri e le persone girano per strada e entrano perfino in ufficio o nei negozi con la divisa del brasile.
Addirittura si ricoprono auto e moto con stelline colorate, e si dipingono i muri delle case.
Qua non si parla di altro. Durante le partite, ad ogni gol messo in rete, succede il putiferio, si sparano BOMBE (così le chiamano qua) in aria, botti, petardi, trombette.
La droga per il calcio è tanta che nell'orario della partita, non si lavora!!!
Gli autobus non circolano, i supermercati chiudono insieme a tutti i negozi e tutte le attività.
perfino il mio centro è rimasto chiuso. Già un'ora prima dell'inizio la gente si prepara per assistere alla partita e trovarsi pronta di fronte a una tv.
Quando l'italia è stata eliminata, è venuto fuori l'orgoglio e la presunzione vera dei brasiliani, che mi hanno schernita ridendo dell'italia, sebbene io ripetessi che non mi importava e che sapevo che sarebbe andata così.
Solo una persona mi ha detto: mi dispiace per l'italia!
Da qua si potrebbe avanzare un pensiero un po' scontato: tutti questi soldi spesi inutilmente quando c'è ancora così tanto divario tra la popolazione, tra ricchi e poveri.
E gli italiani come vivono il mondiale? io sarei d'accordo sul sospendere qualsiasi attività lavorativa durante la partita!!!Suggerisco per la prossima volta.
Noi qua ci saremmo trovati abbastanza in imbarazzo nel caso di uno scontro diretto italia- Brasile.
per chi tifare?quando esultare e con chi?
Io tifo per il Brasile, essendo qua e volendo festeggiare con la gente.
Quando ero a sevilla e la spagna vinse gli europei, assistii al delirio totale!!
Noi non abbiamo, per scelta, la televisione in casa, e quindi insieme agli amici ci ritroviamo al baretto bevendo cerveja e sudando.

Nel prossimo post scriverò qualcosa sulla salute pubblica brasiliana invece, che in confronto è un disastro totaleee!!